Le foto , tutte riferite al Porticciolo Caposele , dimostrano ancor più quanto scritto in proposito alla derivazione del termine “La Pila”.
Come si evince dal disegno , tutti quei “biscottoni’ di conglomerato cementizio allineati sul molo del ” Malopasso” al Caposele si chiamavano in latino singolarmente : Pila
Una struttura del genere fu costruita duemila anni fa circa, nel luogo in cui ricordiamo ” la Pila ” pendente di anni addietro , con la funzione di smorzare l’Impeto delle onde marine ed evitare l’insabbiamento del porto Caposele. In questo lungo lasso di tempo il mare ha sbriciolato questa struttura cementizia e molti di questi massi informi ,nel corso dei secoli, furono riutilizzati per rinforzo al molo ricurvo come da foto postate.
Come vedete la soluzione all’enigma “La Pila ” è stata sempre sotto i nostri occhi e proprio nello stesso Porto Caposele.
Penso che siamo riusciti a scrivere una bellissima pagina di storia della nostra città.
Da un approfondimento storico su vecchi testi e da una osservazione più accurata dei luoghi , abbiamo capito perché i nostri avi chiamavano il segnale visivo e la zona circostante ” La Pila ”
Credo che ci sentiamo un po tutti più soddisfatti e orgogliosi della nostra Formianita’.
Grazie a Voi tutti.
Raffaele Capolino
Curiosità LA “PILA” DEL PORTO CAPOSELE A FORMIA.
Storia collegata alla struttura portuale e al significato del termine “Pila”
Verso la fine del primo secolo ac, Ottaviano, non ancora imperatore, ma alleato di Antonio e Lepido , decise lo spostamento graduale della flotta della Repubblica di Roma dal Sinus Formianus a Capo Miseno.
Fino ai primi anni del periodo imperiale Formia e Ravenna erano le due uniche basi militari navali di Roma.
Il “Sinus Formianus ” andava da Punta Stendardo a Capo Miseno e il porto principale di Formia era situato a Gaeta .
I confini del “Formianum ” andavano dal Torrente S.Croce a sud fino a qualche miglia prima di Sperlonga a nord , e all’interno dalla Valle di S.Andrea, Forcella di Campello, Monte S.Angelo e Monte Vomero, comprendendo anche la zona montuosa di Itri.
Il trasferimento fu dovuto al fatto che il Golfo di Formia era considerato a rischio per gli atti di ” pirateria” di Sesto Pompeo ( figlio di Pompeo Magno) , oppositore del secondo triumvirato di Ottaviano.
Quest’ultimo, aiutato dal suo fido genero Agrippa, decise di trasferire con gradualità tutta la flotta tirrenica al golfo di Baia, subito dopo il Capo Miseno,
Ma occorreva prima realizzare le strutture portuali, incarico che fu affidato allo stesso Agrippa che in poco tempo fece scavare un canale di 50 metri tra il mare e il Lago Lucrino, e poi un altro canale di 300 metri tra il piccolo lago Lucrino e il più grande Lago d’Averno.
Questo porto fu chiamato Portus Iulius in omaggio a Giulio Cesare .
I canali, larghi 50/60 metri, permettevano il transito contemporaneo delle navi in entrata e in uscita.
In pratica la flotta navale tirrenica di Roma imperiale , sarebbe stata alloggiata nei due laghi Lucrino e Averno.
Qualcosa non andò per il verso giusto.
Sia per il livello più basso del lago Averno, sia per i marosi che determinavano continui insabbiamenti dei due canali e dei due laghi.
Fu quindi deciso, anche su parere di Marco Vitruvio Pollione, contemporaneo dei due e ingegnere militare di Ottaviano, di procedere alla costruzione di una doppia barriera cementizia frangiflutti posta sul mare di fronte all’ingresso del lago Lucrino.
Questa opera attenuò inizialmente il fenomeno di insabbiamento ma il problema si ripresento’ negli anni successivi.
Questa doppia barriera era in effetti una catena di grandi pilastri cementizi a formare due moli e aveva il nome latino “Pilae et moles”.
Vitruvio era convinto che con uso di pozzolana di Cuma ed altri accorgimenti da lui suggeriti, questa struttura sarebbe stata indistruttibile.
” eae autem structurae quae in aqua sunt futurae “.
Questa tecnica sperimentata a Miseno fu subito adoperata anche per altri porti aventi le stesse problematiche del Portus Iulius che fu pero’ attivo per pochissimi anni.
Possiamo supporre che la tecnica di Vitruvio possa essere stata applicata anche alle strutture portuali del Sinus Formianus, tant’è che ancora oggi sono visibili, anche se sommersi, notevoli resti cementizi chiamati dai marinai locali ” liett luong” nell’area marina chiamata oggi del “Caposele”.
La barriera cementizia a vista ” Pilae et moles” non durò in eterno come sperava Vitruvio.
Col tempo, anche se dopo alcuni secoli ,fu frantumata dai marosi e ridotta in massi sparpagliati in un raggio di un centinaio di metri di fronte all’imboccatura del porto Caposele.
Per questo motivo, anche se dopo molti secoli dalla costruzione, fu necessario porre un elemento visivo per segnalare un pericolo per il basso fondale e massi quasi a pelo d’acqua.
Dopo 2000 anni quella zona, per notizie tramandate oralmente tra generazioni, è ancora chiamata “la Pila” proprio da ” Pilae et moles” .
Poi il nome fu riferito quasi esclusivamente all’elemento visivo di cui ci stiamo occupando, ovviamente di età più recente, scomparso pochi anni fa alla vista di noi Formiani.
Fonti:molte notizie sono tratte dai testi di Vitantonio Sirago
Foto di Pietro Cardillo
Raffaele Capolino.